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LOCAZIONE AD UNA PROSTITUTA: QUANDO COSTITUISCE REATO

Nel nostro ordinamento la prostituzione non rappresenta, di per sè, un vero e proprio reato, bensì un comportamento socialmente riprovevole ai sensi della Legge n.75/1958; viceversa, è penalmente rilevante ogni attività diretta a indurre, favorire o sfruttare la prostituzione altrui ex art. 531 c.p.
Affinchè scatti la punibilità è necessario che il contributo causale del soggetto sia effetivo e diretto ad agevolare l'attività di meretricio con consapevolezza.
Basandosi su tale assunto, la costante giurisprudenza non ha ritenuto sussistente, di norma, alcun reato in capo a colui che conceda un immobile in locazione a una o più prostitute laddove il canone pattuito si attenga al valore di mercato; ciò in quanto lo scopo del contratto di locazione è la mera soddisfazione delle esigenze abitative della persona.
Infatti la Cassazione, con Sent. n. 39181/2015, ha affermato che "se la locazione non è concessa allo scopo specifico di esercitare nell'immobile locato una casa di prostituzione (condotta punibile ai sensi dell'art. 3, n.2 della L. 75/1958), la condotta del locatore non configura un aiuto alla prostituzione esercitata dal conduttore, ma semplicemente la stipulazione di un contratto attraverso cui è consentito a questi di realizzare il suo diritto all'abitazione. Se è vero che, in tal modo, la prostituzione viene comunque agevolata, questo modo indiretto non può reggere il nesso di causalità penalmente rilevante tra la condotta dell'agente e l'evento di ausilio alla prostituzione".
Il suddetto principio, come ribadito anche dalla Sent. n. 47594/2015, è valido perfino nell'ipotesi in cui il locatore sia consapevole dell'uso cui l'immobile è destinato.
La situazione muta radicalmente e il reato di favoreggiamento è riconoscibile, invece, laddove vi sia il riscontro della prestazione da parte del locatore anche di altri servizi in favore della prostituta, idonei ad agevolare l'attività di costei, come ad esempio la ricezione dei clienti, la fornitura di profilattici o la predisposizione dei testi per le inserzioni pubblicitarie.
Per la Cassazione, sentenza n. 47387/2014, anche elementi come affitti di durata troppo breve, spostamenti continui di appartamento in appartamentoe arredi comprendenti letti matrimoniali perfino in cucina, bastano a "smascherare" il reale utilizzo degli immobili affittati ad alcune donne e a far condannare il proprietario degli stessi alla pena di quattro anni di reclusione e 10mila euro di multa per favoreggiamento della prostituzione.
Si tratta di fattori specifici che, secondo la Suprema Corte, sono idonei a dimostrare il reato di favoreggiamento, in particolare la "limitazione cronologica di tutte le locazioni (incompatibile con una stabile residenza)", la modalità di utilizzazione da parte delle occupanti "caratterizzata dalla velocità e facilità dei loro spostamenti di appartamento in appartamento (dato ulteriormente incompatibile con l'utilizzo come abitazione)", nonché "l'allestimento specifico degli appartamenti diretto a ottimizzare il loro utilizzo per la prostituzione, collocandosi letti matrimoniali anche nelle cucine".
Oltre a tali attività collaterali, il delitto di sfruttamento si realizza anche se si prova che il locatore abbia riscosso un canone sicuramente esagerato e sproporzionato rispetto a quelli di mercato, in quanto, consapevole del "mestiere" svolto dall'inquilino, abbia tratto un ingiusto vantaggio economico dalla prostituzione altrui.Ancora, la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 13229/2016, ha confermato la condanna per favoreggiamento nei confronti di un uomo che aveva concesso in comodato gratuito una stanza del suo immobile ad una donna, consentendole così di esercitare la prostituzione.
Per la Suprema Corte, infatti, "il comodato essendo a titolo gratuito, sottintende la preminente finalità di agevolare l'esercizio della prostituzione altrui e risulta, dunque, pienamente idoneo ad integrare la condotta punita dalla disposizione incriminatrice, che si concretizza in qualunque comportamento che abbia effetto di facilitazione".
Stessa conclusione quella raggiunta dalla Cassazione nella sentenza n. 40328/2016 che ha confermato la condanna alla proprietaria che aveva ceduto in comodato gratuito una parte dell'appartamento con la consapevolezza che il comodotario vi avrebbe esercitato la prostituzione. 
Tale condotta, spiega la sentenza, integra il favoreggiamento della prostituzione, essendo "sufficiente a tal fine il dolo generico, quale appunto derivante da detta consapevolezza in ordine alla attività del comodatario".
 

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