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RIPETIZIONE DI INDEBITO

Cassazione civile, sez. II, 28/06/2017,  n. 16214
In materia d'indebito oggettivo quando la parte deduca in giudizio e dimostri l'avvenuto pagamento di una somma di denaro, il convenuto è tenuto ad allegare e a provare il titolo in forza del quale si ritiene a sua volta legittimato a trattenere la somma ricevuta, al fine di accertare se e fino a che punto la natura del rapporto e le circostanze del caso giustifichino che l'una delle parti trattenga senza causa il denaro indiscutibilmente ricevuto da altri (fattispecie relativa ad una domanda di ripetizione d'indebito formulata dai clienti di un legale in merito al compenso illegittimamente incassato dal professionista).
La fattispecie. A. e B. citavano in giudizio l'avvocato C., che aveva seguito nel loro interesse un processo di risarcimento danni in materia di sinistro stradale, per richiedere la restituzione di una somma di denaro illegittimamente corrisposta a titolo di compenso professionale. Deducevano che il difensore avesse percepito un primo consistente importo, regolarmente fatturato, ed un secondo pagamento, di cifra parimenti consistente, senza emissione di fattura e senza contabilizzazione; richiedevano pertanto la restituzione di tale ultima somma. C. si difendeva eccependo in via preliminare l'incompetenza territoriale del Giudice adito nonché la prescrizione del credito azionato per il trascorrere di un tempo superiore ai cinque anni dalla data dell'ultimo pagamento. Nel merito sosteneva l'esistenza di un palmario in ragione del quale avrebbe avuto diritto di percepire il 20% dell'importo risarcitorio liquidato a titolo di danni. Avanzava altresì domanda riconvenzionale per il pagamento del residuo importo.
In primo ed in secondo grado i Giudici accoglievano le richieste degli attori/appellati. Con particolare riferimento all'eccezione d'incompetenza per territorio, i Giudici di prime e seconde cure avevano validamente ritenuto radicata la competenza trattandosi di obbligazione di natura restitutoria avente ad oggetto una somma di denaro determinata o facilmente determinabile, da eseguirsi presso il domicilio del creditore, ai sensi dell'articolo 1182 comma 3 c.c. ("L'obbligazione avente per oggetto una somma di danaro deve essere adempiuta al domicilio che il creditore ha al tempo della scadenza"). Anche la decisione sull'eccezione di prescrizione era rigettata. I Giudici di primo e secondo grado avevano statuito che la domanda andasse qualificata come di indebito oggettivo, come tale soggetta al termine prescrizionale decennale, decorrente dalla cessazione del rapporto di prestazione professionale e non già, come sostenuto da parte avversa, dalla data dell'ultimo pagamento ricevuto. La Corte di Appello aveva inoltre evidenziato come la difesa del professionista, finalizzata a far emergere l'esistenza di un accordo professionale per l'individuazione della cifra corrisposta dai clienti, fosse rimasta priva di qualsivoglia riscontro probatorio giacché non soltanto non vi era alcun accordo scritto ma neppure era stata fornita alcuna prova orale. La circostanza del versamento volontario delle somme da parte dei clienti, addotta dal professionista, era da ascriversi per i Magistrati solo al timore delle parti di essere pregiudicati nelle ragioni del processo.

Sulla eccezione d'incompetenza per territorio del giudice adito. La pronuncia era impugnata dinanzi alla Corte di Cassazione da C.. Questi sosteneva in primo luogo la violazione delle norme in materia di competenza per territorio trattandosi, a suo dire, di credito non liquido ed esigibile. Gli Ermellini ritenevano invece la sentenza conforme a diritto. A tale proposito, con una recente pronuncia la Corte di Cassazione pronunciatasi a sezioni unite ha affermato in materia di obbligazioni pecuniarie che la liquidità del credito sussiste anche ove gli importi possano essere determinati con una semplice operazione di calcolo aritmetico, senza ulteriori indagini (in tal senso Cass. Civ. SS.UU. n. 17989/2016). Nel caso di specie la Corte di Appello, a parere della Cassazione, aveva correttamente individuato il foro competente considerando le allegazioni istruttorie delle parti ed il materiale acquisito; tali elementi consentivano di quantificare con un semplice calcolo aritmetico le somme riscosse dal convenuto con conseguente individuazione di una obbligazione liquida.
Sulla qualificazione della domanda in termini d'indebito e sulla decorrenza della prescrizione. Parimenti respinto il motivo di censura relativo alla violazione e falsa applicazione delle norme in materia di prescrizione. Sosteneva parte ricorrente che trattandosi di un rapporto relativo ad una condotta qualificata quale dolosa dovesse trovare applicazione l'art. 2043 c.c. ("Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno") con conseguente identificazione di una prescrizione quinquennale. Gli Ermellini argomentavano che la domanda proposta dagli attori andasse qualificata in termini di indebito oggettivo ex art. 2033 c.c. ("Chi ha eseguito un pagamento non dovuto ha diritto di ripetere ciò che ha pagato") con conseguente applicazione del termine prescrizionale decennale, secondo la qualificazione giuridica data alla domanda dal giudice del merito. Anche il termine di decorrenza della prescrizione, a parere della Cassazione, era stato individuato in modo corretto dai giudici di merito nella misura in cui avevano argomentato che il termine prendesse a decorrere dal momento di cessazione del rapporto professionale e non già, come sostenuto dal ricorrente, da quello di esecuzione dell'ultimo pagamento. Ciò in quanto solo da tale momento si veniva a perfezionare per le parti la configurazione di un indebito, con il conseguente diritto alla richiesta di restituzione delle somme.
L'inesistenza di un accordo tra le parti per la determinazione del compenso. Anche il profilo di censura finalizzato a far emergere la sussistenza di un accordo tra le parti per il pagamento della prestazione di cui gli attori richiedevano la restituzione era respinto dalla Cassazione. A tale proposito i Giudici della Suprema Corte evidenziavano che, nel caso in cui si chieda la restituzione di una somma indebitamente trattenuta, si è tenuti a provare non solo la dazione dell'importo bensì anche il titolo da cui derivi l'obbligo di restituzione. Parimenti, nel caso in cui la controparte deduca di essere legittimata a trattenere l'importo dedotto, dovrà dimostrare ed allegare il titolo posto a fondamento della sua richiesta. Nella vicenda de quo il professionista non aveva provato l'esistenza del paventato palmario né in forma scritta né in quella verbale; inoltre C. aveva sostenuto che le dichiarazioni rese da A. e B., in sede d'interrogatorio formale e dinanzi agli organi disciplinari investiti del suo procedimento, avessero confessato l'esistenza di un accordo per la determinazione del compenso in termini percentuali. Proprio queste affermazioni avevano escluso, a parere dei giudici di merito, l'esistenza di un palmario giacché al più tale accordo avrebbe integrato un patto di quota lite vietato dalla legge. Mentre gli attori avevano allegato circostanze comprovanti l'assenza di una causale nella corresponsione del denaro.
Tutte queste ragioni hanno portato al rigetto del ricorso.

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