In via preliminare, al fine di comprendere i termini del problema
relativo al c.d. “danno da vacanza rovinata”, è doveroso porre l’accento
sul “Codice del Turismo” il quale è stato introdotto dal legislatore
con l’obiettivo di raggiungere una semplificazione e una “deregulation” per le imprese che operano nel settore turistico.
Segnatamente, il Decreto Legislativo n. 79 del 23 maggio 2011 che,
entrato in vigore il 21 giugno del 2011, si compone di due distinti
interventi: il primo contiene la normativa statale sull’ordinamento e il
mercato del turismo, attuando la delega prevista dalla Legge 246/2005;
il secondo recepisce la Direttiva n. 2008/122/CE sui contratti di
multiproprietà, quelli relativi ai prodotti per vacanze di lungo
termine, nonché gli accordi di rivendita e di scambio.
Nelle intenzioni del Governo, il Codice punta a promuovere e a
tutelare il mercato del turismo mediante il coordinamento sistematico
delle norme che regolano il settore, nel rispetto delle competenze
legislative delle regioni e in conformità all’ordinamento comunitario.
Il nuovo testo riprende numerosi elementi della disciplina
previgente, razionalizzandoli e in qualche caso aggiornandoli; tra le
novità troviamo sicuramente la risarcibilità del c.d. “danno da vacanza
rovinata”, correlato al tempo inutilmente trascorso e all’irripetibilità
dell’occasione perduta.
Rilevanti, inoltre, sono la nozione di “inesatto adempimento” delle
obbligazioni assunte con la vendita del “pacchetto” (vedasi l’art. 43
del Codice del Turismo) e degli obblighi assicurativi a carico
dell’organizzatore e dell’intermediario (art. 50 del Codice del
Turismo). Si ha, così, una regolamentazione dei “pacchetti”, la tutela
del consumatore-turista (riprendendo il Codice del Consumo integrato con
altre disposizioni), sulla composizione delle controversie e
sull’organizzazione di una struttura centralizzata per la gestione dei
reclami.
Il c.d. “danno da vacanza rovinata” trova la propria fonte normativa negli artt. 2059 c.c. (rubricato “danni non patrimoniali”), 93 c. cons. (“mancato o inesatto adempimento”,
ora abrogato in quanto ricompreso nel Codice del Turismo) e
nell’interpretazione dell’art. 5 della Direttiva n. 90/314/CEE secondo
cui il consumatore ha diritto al risarcimento del danno morale derivante
dall’inadempimento o dalla cattiva esecuzione delle prestazioni fornite
in occasione di un viaggio tutto compreso. Sul punto, comunque, occorre
precisare che non ogni disagio patito dal turista può legittimare la
domanda di risarcimento di tale pregiudizio non patrimoniale, ma solo
quelli che, in base ai generali precetti di correttezza e buona fede,
superano una soglia minima di tolleranza da valutarsi caso per caso da
parte del giudice di merito.
Rimane sempre a carico della parte danneggiata l’onere di provare la
sussistenza e l’entità del danno concretamente subito in conseguenza del
predetto inadempimento: la prova del “danno da vacanza rovinata”,
inteso come disagio psico-fisico conseguente alla mancata realizzazione,
in tutto o in parte, della vacanza programmata, è validamente fornita
dal viaggiatore mediante dimostrazione dell’inadempimento del contratto
di pacchetto turistico, non potendo formare oggetto di prova diretta gli
stati psichici dell’attore, desumibili, peraltro, dalla mancata
realizzazione della “finalità turistica” e dalla concreta
regolamentazione contrattuale delle attività e dei servizi prestati
essenziali alla realizzazione dello scopo vacanziero.
Come già evidenziato, la valutazione in termini monetari del “danno
da vacanza rovinata” per l’inadempimento del contratto di alloggio in
albergo o di viaggio ovvero di fornitura di servizi turistici presenta
notevoli difficoltà, per il carattere non patrimoniale dell’interesse
leso.
Quest’ultimo può essere soddisfatto in forma specifica, ossia
rinviando la vacanza ad altro periodo prossimo: in questo caso, il danno
da liquidare è di carattere esclusivamente patrimoniale e può
consistere nelle spese di viaggio inutilmente sostenute e nella perdita
di reddito che possa derivare dallo scompiglio dei piani di lavoro o
dallo spostamento della vacanza a un periodo nel quale essa implichi
maggiori rinunce a occasioni di lavoro.
Se questa soddisfazione in forma specifica non avviene, gli interessi
che vengono in considerazione possono essere analizzati nelle seguenti
componenti:
1) interesse generico alla disponibilità del tempo libero;
2). interesse specifico alle particolari modalità di godimento della vacanza specificamente programmata
Se il Cliente che deve rinunciare al programma turistico o che lo
vede rovinato non torna al lavoro, conserva libero il proprio tempo; se
torna invece al lavoro, sfrutta il proprio tempo in un modo liberamente
scelto.
Il danno può riguardare, dunque, solo la perdita delle particolari
modalità di godimento della vacanza programmata (quel viaggio, in quel
momento, le caratteristiche del luogo prescelto, i servizi offerti, e
così via). In parte il suo valore corrisponde al suo prezzo e per questa
parte il danno è eliminato dalla restituzione del prezzo o dalla
liberazione dall’obbligo di pagarlo.
L’interesse leso tuttavia va al di là del prezzo, perché comprende un sovrappiù (c.d. surplus)
del consumatore, la cui traduzione in danaro corrisponde idealmente
alla somma minima che il consumatore accetterebbe come compenso alla
rinuncia al programma in questione: questa parte del danno non è
patrimoniale, nel senso che non può essere determinata con riferimento
al mercato.
Il surplus del consumatore fornisce però un criterio che può
orientare la valutazione: non ne consente un controllo preciso e
oggettivo, ma può valere a suggerire limiti di ragionevolezza, minimi e
massimi.
Il danno non patrimoniale è risarcibile nel caso di vacanza rovinata
per inadempimento di obbligazioni derivanti dalla vendita di un
pacchetto turistico: ciò in base all’art. 95 del c. cons. il quale è
stato abrogato dall’art. 3, comma 1, lettera m) del D. Lgs. n. 79 del 23
maggio 2011 ed inserito nel Codice del Turismo.
Tale principio è il risultato dell’interpretazione conforme della
decisione della Corte di Giustizia CE n. C-168/00 del 12 marzo 2002,
secondo la quale una vacanza può essere rovinata anche
dall’inadempimento di semplici contratti d’alloggio in albergo, di
trasporto o di singoli servizi turistici che non rientrano nell’ipotesi
prevista dall’abrogato art. 95: in tali casi, la risarcibilità del danno
non patrimoniale non può essere affermato per analogia, perché
costituisce eccezione a un principio generale e ben fondato
dell’ordinamento giuridico e perché la citata sentenza è stata
interpretata secondo l’esigenza di armonizzare le regole vigenti nei
diversi Stati membri dell’UE al fine di evitare distorsioni della
concorrenza nella vendita di pacchetti turistici.
Il c.d. “danno da vacanza rovinata”, concludendo, rappresenta la
lesione di un interesse non patrimoniale (per l’aspettativa mancata di
poter godere di una vacanza in un dato luogo, con determinate
caratteristiche e in periodo ben preciso) a seguito dell’inesatto
adempimento o dell’inadempimento totale alle obbligazioni derivanti da
un contratto turistico denominato “tutto compreso” (o all’inglese “all inclusive”).
Generalmente tale danno si esplicita come la non corrispondenza dei
servizi (di viaggio, alloggio o accessori a questi) effettivamente
prestati con quelli promessi ai turisti al momento della prenotazione
della vacanza.
Il fatto che si tratti di un interesse non patrimoniale rende
difficile per i consumatori-turisti, su cui ricade l’onere della prova,
dimostrare l’esistenza di un loro diritto ad essere risarciti.
È pertanto necessario che tali soggetti siano debitamente seguiti da
un legale esperto della materia, anche al fine di essere
preventivamente informati circa limiti e possibilità di tutela dei loro
interessi.
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