Nelle società di persone il trasferimento di partecipazione sociale comporta modifica dei patti sociali; pertanto, ai sensi dell'art. 2252 c.c., è soggetto al consenso unanimistico dei soci, come ricordato anche dalla Cassazione ( Sent. n. 1122/1984: "Il consenso unanime richiesto per la costituzione della società di persone occorre anche per l'allargamento della base sociale mediante l'ingresso di nuovi soci"). Si è posta in dottrina la questione se, oltre all'intera quota, possa essere oggetto di cessione anche solo una frazione di essa: risposta positiva a tale quesito è stata fornita dallo stesso Consiglio Nazionale del Notariato, secondo il quale "essendo la quota sociale un complesso di situazioni giuridiche soggettive la cui entità corrisponde ad una porzione del capitale sociale, salva l'ipotesi in cui la partecipazione sia rappresentata da una porzione minima e fissa del capitale sociale, come avviene nelle s.p.a., la partecipazione sociale di società di persone è suscettibile di essere frazionata in ulteriori partecipazioni di minore entità".
Per ciò che concerne la natura giuridica del trasferimento di quota sociale, dottrina e giurisprudenza sono contrastanti: mentre, infatti, la Cassazione (Sent. n. 7886/2006) ritiene si tratti di un contratto bilaterale sottoposto alla condicio juris del consenso degli altri soci ai fini della opponibilità della cessione alla società, la dottrina è concorde nell'inquadrare tale figura nella cessione del contratto ex art. 1406 c.c.
Contrasti sono sorti anche con riferimento all'individuazione dell'oggetto di una tale cessione: parte della dottrina, infatti, ritiene che col trasferimento di quota si abbia anche un trasferimento indiretto di parte dei beni sociali. A ben vedere, si tratta della stessa dottrina che non ravvisa, in capo alla società di persone, la soggettività giuridica tipica delle società di capitali. Secondo tale teoria, pertanto, i soci sarebbero contitolari dei beni facenti parte del patrimonio sociale. Conseguenza di tale tesi è che nella cessione di quota di una società di persone troverebbero applicazione le norme in materia di compravendita poste a tutela dell'acquirente ( tra le quali quelle relative all'evizione, art. 1483 c.c., ai vizi, art. 1490 c.c., alla mancanza di qualità essenziali, art. 1497 c.c.).
Secondo la teoria prevalente, tuttavia, avallata anche dalla Cassazione (Sent. n. 13075/2004), con la cessione di quota si attua un trasferimento della sola partecipazione sociale, con la fondamentale conseguenza che il cedente sarà tenuto a garantire soltanto l'effettiva esistenza di quest'ultima.
Ciò non toglie, ovviamente, che rimane in capo alle parti la facoltà di inserire apposite clausole di garanzia; anzi, queste ultime sono molto diffuse nella prassi e si distinguono in sintetiche, laddove si garantisca soltanto l'esistenza di un certo netto patrimoniale, e analitiche, con le quali si garantisce l'esistenza di determinate poste attive in bilancio.
Infine, un cenno merita la problematica inerente alla possibilità di inserire nell'atto costitutivo, nella fase genetica della società, un'apposita clausola di libera trasmissibilità con la quale viene raccolto preventivamente il consenso degli altri soci alla cessione: secondo una tesi, l'inserimento di una siffatta clausola sarebbe da ritenersi ammissibile soltanto nell'ipotesi in cui vengano predeterminati i soggetti cessionari; la tesi prevalente, invece, accolta anche dalla Cassazione ( Sent. n. 340/1971), ravvisando in un simile patto nient'altro che un consenso preventivo alla cessione del contratto, ai sensi dell'art. 1407, 1° co., c.c., non ritiene necessaria una predeterminazione dei soggetti cessionari.
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